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Girovita

Nel campo della Scienza dell’Alimentazione negli ultimi anni si è capito che il parametro più importante da monitorare è quello della circonferenza addominale.

Questo valore ci fornisce indicazioni migliori sulla gravità del problema di sovrappeso/obesità rispetto al peso stesso e all’indice di massa corporea che misura il rapporto tra il peso e l’altezza.

Ed è assolutamente peggio avere una circonferenza addominale aumentata e un peso più basso, piuttosto che il contrario.

Ma perché è così importante non avere il girovita aumentato e l’addome globoso?

Perché questo è il segnale più chiaro della presenza di grasso viscerale all’interno della cavità addominale.

Questa localizzazione del grasso è molto più pericolosa per la nostra salute di quella sottocutanea diffusa in tutto il corpo.

Il grasso viscerale infatti tende ad infiltrare gli organi causandone un’alterazione delle funzioni, come nel caso della steatosi del fegato, si deposita nelle arterie favorendone la chiusura, crea uno stato infiammatorio cronico che facilita la comparsa dei tumori e porta allo stato di resistenza all’insulina che apre la strada al Diabete di tipo 2.

Ma come si forma il grasso viscerale?

Chiaramente quando introduciamo cibo in eccesso, il nostro corpo lo trasforma in riserve di grasso.

Ma non è solamente la quantità che conta ma anche la qualità di quello che mangiamo.

Il grasso viscerale si forma infatti principalmente quando introduciamo una quantità di zuccheri, sotto forma di carboidrati semplici e complessi, eccessiva e non bilanciata.

Se mangiamo troppi zuccheri e con un indice glicemico elevato causiamo un picco glicemico, cioè un aumento della glicemia nel sangue troppo veloce.

Il corpo reagisce attraverso la liberazione dell’insulina, il principale ormone anabolizzante che ha il compito di far entrare lo zucchero nelle cellule perché sia utilizzato e di trasformare quello in eccesso in riserve di grasso principalmente viscerale.

Per evitare che si inneschi questo meccanismo dobbiamo mettere in atto delle strategie alimentari quando costruiamo i pasti della giornata.

Prima di tutto dobbiamo utilizzare i carboidrati, che restano comunque la fonte energetica principale dell’organismo e non vanno assolutamente eliminati dalla dieta, in quantità controllate e preferendo quelli a più basso indice glicemico, che alzano cioè meno velocemente la glicemia.

In questo senso la scelta della forma integrale risulta sempre vincente dal momento che pane, riso e pasta integrali hanno un indice glicemico sensibilmente più basso rispetto a quelli non integrali.

Ricordiamo poi che il riso ha l’indice glicemico più alto tra tutti i cereali e questa caratteristica viene esaltata dalla cottura in risotto perché mantiene tutto l’amido senza perderne una parte come quando viene bollito e poi scolato e risciacquato.

Secondo aspetto fondamentale è come combiniamo i diversi nutrienti per formare un pasto completo (vedi il primo pilastro del Metodo Giusti).

Dobbiamo evitare di assumere i carboidrati isolati senza abbinarli ad altre sostanze in grado di rallentarne l’assorbimento e ridurre in questo modo il carico glicemico complessivo del pasto.

E queste sostanze sono principalmente le fibre della verdura e i grassi.

Nella mia esperienza in Ambulatorio ho notato che è un’abitudine piuttosto diffusa quella di abbinare le verdure solo al secondo piatto, mentre con i primi al massimo si associano dei condimenti che contengono una quantità limitata di verdura e poi magari si aggiunge un frutto.

Questo è un errore importante perché gli zuccheri dei cereali e della frutta non sono bilanciati e vengono assimilati in grande quantità e velocità.

Abbiniamo perciò sempre della verdura anche al primo piatto e meglio se la cuociamo in olio extravergine di oliva, in modo da sfruttare lo stimolo di questa cottura al lavoro di metabolizzazione del fegato, che in questo modo consuma per lavorare anche una maggiore quota di zuccheri.

Aggiungiamo poi anche una quota di grassi nel condimento (utilizzando uova, pesce, carne, olive, frutta secca) oppure nella preparazione del contorno per modulare ulteriormente l’assorbimento degli zuccheri.

Abbiamo poi anche un’altra arma in quei cibi che, con meccanismi diversi, aiutano a tenere bassi i livelli glicemici come funghi, aglio, cipolla cruda, cannella e altri che trovate nella lista della spesa per questo obiettivo.

Ultimo aspetto, ma non certo per importanza, evitiamo di assumere zuccheri aggiunti, consumando cibi e bevande addizionate di zuccheri nella produzione industriale.

Tanto per fare un esempio ricordiamoci che una lattina di Coca Cola contiene 35 grammi circa di zuccheri che corrispondono a 7-8 bustine.

E l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia di non superare la quantità massima di 25 grammi al giorno…..che corrispondono a 5 cucchiaini.

Ma non ci sono solo le bevande zuccherate.

Anche tanti altri alimenti industriali contengono insospettabili quantità di zuccheri aggiunti: uno yogurt magro alla frutta circa 15, un barattolo di sugo pronto circa 30, 50 grammi di cereali per ragazzi circa 10, due fette di pane confezionato 5 grammi.

Impariamo a leggere le etichette e soprattutto cerchiamo di partire dagli alimenti naturali per costruire le nostre ricette.

Dott. Paolo Dellai

Biologo nutrizionista Laureato in Biologia presso l’Università degli Studi di Padova e specializzato in Biologia Applicata alle Scienze della Nutrizione presso l’Università degli Studi di Milano.

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